L’assistenza offerta dallo Studio Legale Ricciardi comprende l’intera gestione del procedimento, in occasione dei controlli che l’Agenzia delle Entrate e, più in generale, l’Amministrazione Finanziaria opera su questi crediti d’imposta.

Il credito d’imposta in Ricerca e Sviluppo nasce per stimolare la spesa privata al fine di innovare processi e prodotti per garantire la competitività futura dell’azienda.

Le spese, proprio grazie a questo credito d’imposta, possono essere finanziate, in parte, dallo Stato. Come tutti i crediti d’imposta, l’utilizzo è soggetto a controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il problema che si pone è che il credito è stato da molti imprenditori già utilizzato, in assenza di divieti specifici da parte dell’Agenzia delle Entrate, divieti che invece adesso emergono in fase di controllo.

Come sappiamo, il credito è pari al 50% dell’importo per le spese di Ricerca e Sviluppo fino a un massimo annuale di 20 milioni di Euro per beneficiario, e computato su una base fissa data dalla media delle spese in Ricerca e Sviluppo negli anni 2012-2014.

Le spese oggetto di agevolazione sono quelle relative alla ricerca fondamentale, alla ricerca industriale e allo sviluppo sperimentale, ai costi per personale altamente qualificato e tecnico, ai contratti di ricerca con università, enti di ricerca, imprese, start up e PMI innovative.

Vi rientrano anche le quote di ammortamento di strumenti e attrezzature di laboratorio, le competenze tecniche e le privative industriali.

I possibili fruitori dello stesso sono i soggetti titolari di reddito d’impresa (imprese, enti non commerciali, consorzi e reti d’impresa). Ne possono fruire le imprese italiane o residenti all’estero con stabile organizzazione sul territorio italiano che svolgono attività di Ricerca e Sviluppo e le imprese italiane o residenti all’estero con stabile organizzazione sul territorio italiano che svolgono attività di Ricerca e Sviluppo su commissione da parte di imprese residenti all’estero.

Per saperne di più, vai su:

https://www.mise.gov.it/index.php/it/incentivi/impresa/credito-d-imposta-r-s

Il Decreto Ministero dell’Interno del 28 marzo che sposta al 30 aprile 2019 il termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2019-2021 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 82 del 6 aprile 2019. Riguarda solo gli enti locali che hanno adottato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale e che hanno riformulato o rimodulato i piani di riequilibrio ai sensi dell’art. 1, comma 714, della Legge n. 208/2015. Viene anche spostato al 30 giugno 2019 il termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2019-2021 da parte degli enti locali interessati dai gravi eventi sismici di cui all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 39/2009, agli allegati 1, 2, 3 bis, del D.L. n. 189/2016 , alla  Delibera del Consiglio dei Ministri 28/12/2018 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.1 del 2 gennaio 2019.

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https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/differito-al-30-aprile-il-termine-per-lapprovazione-del-bilancio-degli-enti-locali-con-procedura-di-riequilibrio-finanziario/

Il caso sottoposto al vaglio dei Giudici di legittimità vede come protagonista il Comune di Lagosanto (FE), in relazione ad un avviso di accertamento ICI, che aveva avanzato ricorso per Cassazione avverso una sentenza CTR dell’Emilia Romagna.

Il motivo del ricorso si basava sul fatto che l’Ente aveva lamentato il vizio di extrapetizione della decisione di primo grado, di annullamento dell’atto impugnato, sebbene il ricorso della contribuente non avesse addotto a sostegno la carenza di motivazione dell’accertamento.

Inoltre si disputava in merito alla debenza della sanzione per infedele dichiarazione, tenuto conto delle compravendite degli immobili avvenute nell’anno di imposta, modificative del valore dei beni nel periodo impositivo. Con altro motivo, il Comune eccepiva la censura della sentenza nella parte in cui aveva disconosciuto l’efficacia di giudicato alla sentenza resa tra le stesse parti dalla CTP di Ferrara che, sulla base dei medesimi presupposti di fatto e di diritto, aveva riconosciuto la legittimità dell’accertamento ICI in rettifica da parte del Comune per l’anno 2009 del valore di alcune aree facenti parte del medesimo piano di delle aree edificabili previste nel Regolamento comunale.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 24910 del 9 ottobre 2018, rilevato che  il ricorso di primo  grado del contribuente, trascritto dalla parte ricorrente, contiene la richiesta di annullamento dell’avviso […]

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https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/lannullamento-di-un-accertamento-ici-non-puo-basarsi-sulla-carenza-di-motivazione-dellatto-non-eccepita-dalla-controparte/

L’operazione con cui una società, priva di certificati Agrim, si rivolge a un operatore che acquista la merce da un fornitore extra Ue, le cede all’estero a un terzo che la immette nel mercato dell’Unione con la propria licenza, rigirandola poi alla prima società, non è un’operazione sempre elusiva, ma un’operazione da esaminare caso per caso.

Lo ha detto la Corte di Cassazione (sentenza 4936/2019) secondo cui spetta al “giudice nazionale verificare in concreto che detto meccanismo non si connoti come abuso del diritto”. Nel caso sottoposto all’attenzione dei Supremi Giudici, la società che aveva importato la merce aveva fruito di un dazio agevolato per importo superiore a quello previsto dal certificato di importazione. Per tale ragione l’Agenzia delle Dogane aveva intravisto nell’operazione, valutata nel suo complesso, la fattispecie dell’abuso del diritto. L’esame, per la Corte, va invece fatto con riferimento al caso concreto, valutando sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo (v. Cassazione n. 2067/2017).

Per il primo aspetto, bisogna valutare se l’acquirente finale abbia o meno conseguito un indebito vantaggio e se vi sia o meno una valida giustificazione economica per le operazioni e quindi un guadagno effettivo derivante dalla vendita della merce. Sotto l’aspetto oggettivo invece, si deve vedere se i titoli Agrim siano o meno stati richiesti agli importatori e se questi non siano soggetti fittizi, quindi che si tratti di soggetti che effettivamente abbiano tratto un vantaggio economico dalle rivendita della merce o che comunque si siano assunti il cd. rischio d’impresa, derivante dall’incertezza economica dell’esito delle operazioni.

Interessante pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 4035/2019) secondo cui l’Agenzia delle Dogane può legittimamente negare il rimborso delle accise se la merce è stata spedita all’estero in data anteriore a quella comunicata e per tale ragione non è stato possibile operare controlli sulla stessa merce.

Per i giudici è fuori discussione il potere di controllo, da parte dell’Agenzia fiscale, sulla merce che dall’Italia viene spedita all’estero e tale controllo non può essere messo in discussione dall’operato del contribuente che richiede il rimborso dell’accise precedentemente versata.

Infatti, proprio per non ostacolare il procedimento di controllo da parte dell’Ente, vi è l’obbligo per chi spedisce all’estero di indicare, nella domanda di rimborso, la data prevista per la spedizione.

In questa maniera, l’Agenzia può effettivamente riscontrare che la merce indicata corrisponda a quella che sarà effettivamente oggetto di spedizione.

Ogni attività quindi che ostacoli la suddetta procedura di controllo da parte dell’Agenzia delle Dogane per i Giudici deve comportare il diniego da parte di questa del rimborso dell’imposta. Quindi, la merce deve essere tenuta a disposizione fino alla data indicata per la spedizione e così sorge il diritto al rimborso delle accise pagate dal contribuente sui prodotti da spedire all’estero, come stabilito dall’art. 14 del Testo unico delle accise (D. Lgs. 504/1995) in combinato con l’articolo 12 del DM 25 marzo 1996 n. 210 che impone l’obbligo di presentare apposito dichiarazione alle Dogane per ogni singolo trasferimento di merce.

A stabilirlo è la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, con la sentenza n. 59 dell’8 gennaio 2019, secondo cui, per valutare se sussistano o meno i presupposti per la concessione dell’agevolazione tributaria relativa al rimborso delle accise sul gasolio, non rileva la tipologia del veicolo ma quella dell’attività esercitata.

La fattispecie posta all’attenzione dei magistrati liguri vedeva contrapposta una società di trasporto pubblico locale, che aveva chiesto il rimborso relativo alle accise sul gasolio, e l’Agenzia delle Dogane che a tale richiesta si opponeva motivando il proprio diniego col fatto che parte del gasolio era stato utilizzato per l’alimentazione di alcuni filobus, categoria che non rientrerebbe tra quelle che hanno diritto all’esenzione.

La richiesta di pagamento dell’Ufficio, prontamente impugnata dalla società, veniva annullata dai giudici di primo grado e annullata anche da quelli di secondo grado. Per i Giudici regionali infatti, la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui l’agevolazione è legata a una specifica tipologia di mezzi (ex art. 54 del D. Lgs. 285/1992, Codice della strada), è da respingere poiché quello che conta, ai fini del diritto al godimento dell’agevolazione è lo scopo finale per il quale il gasolio viene utilizzato, quello della trazione del veicolo appunto, fatto questo non oggetto di discussione. A riprova di ciò, viene citato l’articolo 5 del D.L. 28 dicembre 2001 n. 452 che ha esteso l’agevolazione anche alle imprese esercenti trasporto di persone a fune. Rileva quindi, per i magistrati tributari, la necessità di non rendere fiscalmente troppo oneroso l’esercizio dell’attività di autotrasporto. Infine, prosegue il Collegio, non conta che il gasolio oggetto dell’imposta non venga utilizzato per la trazione del veicolo ma per generare l’energia necessaria alla diretta alimentazione del veicolo stesso.

Il comma 1091 della Legge di stabilità 2019 (L. n. 145/2018) prevede la possibilità per i Comuni di istituire un Fondo per gli incentivi a favore del personale che si occupa delle attività di accertamento e riscossione delle entrate locali. Il Fondo prevede la possibilità di destinare al personale il maggior gettito – in misura non superiore al cinque per cento – relativo all’IMU e alla TARI come risultante dal conto consuntivo dell’anno di riferimento. La stessa norma disciplina la possibilità di intervenire sul trattamento accessorio del personale con l’utilizzo delle risorse oggetto di accantonamento, con la previsione di un limite quantitativo all’incentivazione. La disposizione di cui al comma 1091 della Legge di bilancio 2019 si inserisce nell’ambito della potestà regolamentare […]

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https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/i-comuni-possono-istituire-un-fondo-per-lincentivazione-al-personale-impiegato-nella-riscossione-delle-entrate/

Molti casi sono stati posti all’attenzione degli operatori del diritto circa la possibilità di detrarre l’IVA nell’ipotesi di irregolarità commesse dall’emittente della fattura e sul conseguente ruolo del soggetto passivo, rectius sulla consapevolezza di questi che a monte, nella catena delle prestazioni, fosse intervenuta un’evasione.

Tematica questa che si innesta su un’altra fattispecie, quella in cui  l’Agenzia delle Entrate, con apposito atto di accertamento, provveda anche al disconoscimento dei costi ai fini delle II. DD, oltre che a contestare la detraibilità della connessa IVA, sull’assunto che le fatture emesse, pur essendo addebitabili all’effettivo prestatore del servizio, fossero però riconducibili ad una partita IVA cessata.

Per esaminare la questione, si deve necessariamente partire dalla considerazione che, in materia, vi è sostanziale carenza di giurisprudenza nazionale, elemento che porta a fare ricorso alle pronunce del giudice europeo (Corte di Giustizia, cause riunite C80-11 e C 142-11) secondo il quale “la detrazione dell’IVA non può essere negata a causa di irregolarità commesse dall’emittente della fattura” e per procedere diversamente è necessario invece che “l’amministrazione dimostri che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che, a monte, nella catena delle prestazioni, era intervenuta un’evasione”.

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http://www.giustiziatributaria.it/index.php/iva-detraibile-anche-se-la-partita-iva-e-cessata-di-alessio-foligno-e-nicola-ricciardi/

Interessante pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 5930 del 28 febbraio 2019) in tema di accertamento doganali e relazioni OLAF. Per i Supremi Giudici, l’Agenzia delle Dogane può utilizzare gli atti ispettivi OLAF come base per gli avvisi di accertamento, ma solo se sono precisi e dettagliati.

Per la Corte infatti, “senza dubbio l’atto che – per la sua tipologia, quale caratterizzata dalle forme procedimentali – più si avvicina ai rapporti OLAF è il processo verbale di constatazione”. Come per i PVC dell’Agenzia delle Entrate quindi, bisogna separare le circostanze che i funzionari verbalizzanti attestano direttamente da quelle che invece sono state da loro solo conosciute.

Per gli Ermellini, le valutazioni che non vengono fatte direttamente dall’OLAF, non fanno piena prova nel processo tributario ma si pongono in una posizione diversa perché costituiscono elementi (prove) che sono direttamente apprezzabili dal giudice, alla luce di tutti gli altri elementi e circostanze del caso concreto che sono riferite allo specifico soggetto verificato. Ma i Giudici di legittimità vanno ancora oltre perché, se da un lato affermano che le relazioni OLAF fanno piena prova di quanto in esse contenuto, dall’altro limitano questa portata probatoria a quelle relazioni che sono precise, dettagliate e circostanziate.  Non tutte quindi assumono questo rango di prova ma solo quelle dotate di queste caratteristiche. Per completezza, si riporta il caso sottoposto all’attenzione dei Giudici che era quello di una contestazione mossa dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di una impresa italiana che aveva acquistato da una società estera prodotti in acciaio dichiarati, all’atto dell’importazione, come sudcoreani. La contestazione dell’Ufficio impositore si poggiava sul fatto che le merci non erano state riconosciute come sudcoreane ma come prodotte in Cina, con tutto quello che ne consegue in tema di pagamento di dazi antidumping. Alla base della ripresa a tassazione, vi era la segnalazione dell’OLAF (Ufficio europeo antifrode) che era stata previamente trasmessa all’Agenzia delle Dogane che proprio su di essa aveva basato il suo avviso di accertamento.

In vista dell’uscita della Regno Unito dall’Unione Europea che, salvo sorprese dell’ultima ora, dovrebbe verificarsi il 30 marzo 2019, l’Agenzia delle Dogane ha pubblicato le linee guida sulle movimentazioni commerciali di prodotti sottoposti ad accisa da e verso il Regno Unito.

Le stesse si riferiscono, in particolare, ai regimi doganali applicabili alle bevande alcoliche sia per le ipotesi di uscita che per quelle di introduzione dei beni nel territorio italiano.

https://www.adm.gov.it/portale/documents/20182/4094838/Linee+guida+BREXIT+accise.pdf/0b177a49-386f-4552-b1a6-81a493b9941a

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