Vale l’esenzione IMU per gli immobili appartenenti agli enti no profit, ma solo se questi li utilizzano direttamente.

Il cd ‘terzo settore’ è stato oggetto di integrale riordino normativo con l’emanazione del Codice del Terzo settore di cui al Decreto legislativo n. 3 luglio 2017, n. 117.

L’articolo 7, comma 1, lettera i) del Dlgs 504/1992 stabilisce che sono esenti dall’ICI gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali per lo svolgimento di una serie di attività agevolate (assistenziali, previdenziali, culturali eccetera), svolte con modalità non commerciali. L’esenzione si applica anche all’IMU, per effetto del richiamo operato alla norma sopra citata dall’articolo 9, comma 8, del Dlgs 23/2011.

La Corte di cassazione ha confermato il proprio orientamento anche recentemente ribadendo che la mancanza dell’utilizzazione diretta dell’immobile, perché concesso in comodato a un terzo, fa perdere il diritto all’esenzione ICI.

Con l’ordinanza del 17 maggio 2017 n. 12301, infatti, la Suprema Corte ha respinto la richiesta di esenzione avanzata da una associazione per un immobile nel quale si svolgevano attività ricreative e ricettive, concesso in comodato a un privato cui era stata affidata la gestione di queste attività.

La Corte sottolinea che, per beneficiare dell’esenzione dall’ICI, è necessaria l’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente che ne abbia il possesso e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito.

Occorre, pertanto, che siano posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore, cioè che vi sia coincidenza tra ente proprietario (o titolare di altro diritto reale sul bene) e quello che utilizza l’immobile.

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Molte sono le ipotesi dubbie circa l’applicazione della TARI relativamente agli immobili affittati ad attività commerciali e/o artigianali.

Stesso dicasi per l’applicazione della tassa ai proprietari di immobili non affittati e, inoltre, ai proprietari di immobili per i quali non sono state allacciate le utenze.

La regola generale è che la tassa risulta dovuta se l’immobile è suscettibile di produrre rifiuti; quindi, ne sono soggetti anche gli immobili non utilizzati, anche quelli non allacciati alle reti idriche, elettriche ed anche quelli privi di mobili.

Queste, del resto, le regole contenute nell’articolo 1, commi 641 e seguenti della legge di Stabilità (147/2013).

La giurisprudenza della Cassazione e dei giudici di merito, finora, ha sempre ritenuto illegittima la previsione regolamentare, adottata da alcuni Comuni, che tendeva ad escludere per la Tarsu (o a dichiarare esenti dal tributo) gli immobili che non avessero arredi, oppure allacci alla rete elettrica o idrica (sentenze n.16785/ 2002, n. 9920 /2003, n.1850/2010 ed altre); si cita a tal proposito, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (sentenza n. 121 del 25 ottobre 2012) che ha sancito che la non attivazione delle utenze (gas, energia elettrica, acqua) non è decisiva ai fini del pagamento della Tarsu.

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4384 del 14 febbraio 2019, ha stabilito che, se i certificati di origine preferenziale sono falsi, è legittima la ripresa a tassazione solo dei maggiori dazi ma non dell’IVA all’importazione Vediamo come i Supremi Giudici sono arrivati a stabilire che la falsità dei certificati EUR 1 comporta “la perdita dell’esenzione daziaria” ma “non implica necessariamente anche quella dell’IVA all’importazione qualora tale imposta sia stata comunque assolta secondo il modulo dell’inversione contabile all’atto dell’estrazione delle merci dal deposito IVA”. L’applicazione del meccanismo del reverse charge comporta di per sé l’assolvimento dell’imposta e, per tale ragione, costituisce un mero illecito fiscale di natura formale la mancata introduzione fisica dei beni nel deposito. Per i giudici quindi, non è possibile il recupero dell’imposta non versata nello sdoganamento. Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 13 del D. Lgs. 471/1997 (ritardati o omessi versamenti diretti), la sanzione è compresa tra il 15% e il 30% dell’IVA all’importazione se la regolarizzazione avviene entro 15 giorni dall’annotazione dell’autofattura nei registri contabili. Per la Cassazione quindi, non vi è tassazione anche dell’IVA – pagata con il reverse charge – perché questo costituirebbe doppia imposizione. La fattispecie sottoposta all’esame dei Giudici è quella di una verifica fiscale operata dall’Agenzia delle Dogane che riteneva irregolari delle prove EUR 1 relative a merce da immettere fisicamente in un deposito IVA, su cui però andava poi applicato il reverse charge. Per l’Agenzia fiscale andava ripresa a tassazione l’IVA all’importazione perché assimilata ai diritti di confine  a causa del disconoscimento dei certificati di circolazione, necessari per il godimento delle agevolazione daziarie. I giudici hanno invece ritenuto di separare le violazioni doganali, quelle relativi ai dazi e agli altri diritti di confine, dall’applicazione dell’IVA all’importazione, che risulta già pagata proprio per l’applicazione del reverse charge sull’estrazione dei beni dal deposito. Sempre la Cassazione, con la sentenza n. 4052 del 12 febbraio 2019, aveva stabilito che “nel caso in cui le merci provenienti da paesi al di fuori dell’unione europea siano state immesse in libera pratica con il pagamento in dogana dei soli dazi per essere destinate all’introduzione in un deposito fiscale, introduzione poi mai avvenuta, e sempre che l’IVA sia stata in concreto assolta con il meccanismo dell’inversione contabile previsto dall’art. 17 comma 2 DPR n. 633/1972, l’agenzia doganale non può procedere all’emissione di un atto impositivo per il recupero dell’IVA non versata in dogana”.

https://www.2020revisione.it/nessuna-violazione-doganale-per-i-depositi-iva/

Interessante pronuncia della Suprema Corte di Cassazione del 25 gennaio 2019 (sentenza n. 2148)

secondo cui è legittimo il recupero dei dazi preferenziali non versati, qualora i certificati di origine siano stati annullati dalla autorità doganali estere.

Per i giudici “è sufficiente che l’amministrazione finanziaria dia conto dell’invalidazione da parte dell’autorità emittente di detto certificato, essendo superflua l’indicazione delle ragioni che hanno condotto alla menzionata invalidazione”.

Il caso sottoposto ai Supremi giudici

è quello di una procedura internazionale di cooperazione amministrativa, all’esito della quale i certificati di circolazione EUR 1 sono risultati nulli.

Conseguenza di questa nullità è stata, inevitabilmente, l’impossibilità di considerare le merci oggetto di importazione come provenienti da un Paese terzo e quindi in grado di fruire dei dazi agevolati.

A seguito dell’annullamento dei certificati di origine da parte di un paese terzo,

come sappiamo, vengono meno anche le agevolazioni per i prodotti e, conseguentemente, rivive la ripresa a tassazione per l’importatore nazionale.

Grande importanza riveste in materia l’EUR 1, che ancora oggi genera alcuni dubbi.

Se infatti incertezze non vi sono sul fatto che esso sia requisito per le agevolazioni, spesso si dimentica che lo stesso, in quanto certificato di circolazione ha una valenza probatoria limitata.

Valenza che in nessun caso – è bene ricordarlo – può essere considerata quale presunzione assoluta (che come tale non ammette prova contraria), circa l’effettiva origine della merce oggetto di importazione.

Il certificato viene rilasciato dalle amministrazioni estere su domanda dell’esportatore (art. 114 par. 4 del regolamento UE 2447/2015)

e costituisce attestazione valida sia ai fini degli accordi di libero scambio che per lo scambio verso quei paesi per i quali vigono norme derogatorie previste dalla stessa UE.

Senza la presenza di questo certificato quindi, non è possibile fruire delle agevolazioni sui diritti doganali, pur in presenza degli altri requisiti per le agevolazioni. E cioè che si tratti di prodotto interamente ottenuti o sufficientemente lavorati nel Paese beneficiario e che sia stato rispettato il principio di territorialità e del trasporto diretto.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2214 del 25 gennaio 2019

ha stabilito che l’Agenzia delle Dogane può utilizzare le proprie banche dati interne ma solo se fornisce la prova di aver prima applicato i metodi secondari di valutazione. Con questa pronuncia viene quindi limitato l’utilizzo delle banche dati da parte dell’Agenzia delle Dogane nelle ipotesi di rideterminazione del valore dichiarato all’atto dell’importazione sulla base del valore di transazione di merci simili.

Per i giudici infatti,

l’Agenzia delle Dogane prima deve “fornire all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi”. Successivamente, deve “dimostrare con onere probatorio a proprio carico di aver applicato nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 del codice doganale secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione”.

Nel caso affrontato dalla Corte

l’Agenzia fiscale aveva rettificato il prezzo pagato all’esportatore terzo poiché lo aveva ritenuto inferiore al valore statistico medio per l’importazione di beni compatibili.

La procedura per la rettifica era basata sull’utilizzo delle banche dati interne – ogni Agenzia Fiscale ha le sue – che provvedono a effettuare un confronto tra vari prodotti per verificare appunto che quelli importati rispettino il valore medio statistico.

Le banche dati interne servono all’Agenzia delle Dogane

per individuare il valore medio statistico dei beni importati ma possono essere utilizzate solo dopo aver utilizzato i metodi di valutazione precedenti (v. sentenza Corte di Giustizia n. del 12 dicembre 2013, C-116/12; Corte di Cassazione nn. 2345 e 2346 del 2018).

Per determinare il valore delle merce infatti, bisogna dapprima utilizzare il valore di transazione (art. 70, Reg. UE 952/2013). Successivamente, vi sono altri criteri da utilizzare, ma in rigido ordine gerarchico: 1) valore di transazione di merci identiche 2) valore di transazione di merci similari 3) metodo deduttivo 4) metodo calcolato 5) metodo “fall-back or reasonable means”.

La Cassazione poi ricorda la regola fondamentale del rispetto del principio del contraddittorio

previsto a pena di nullità dell’atto (tra le tante, v. sentenza n. 1114/2019).

Su questo punto bisogna porre particolare attenzione poiché spesso l’Agenzia, laddove abbia fondati dubbi, procede direttamente a rideterminare il valore del bene, disattendendo il valore dichiarato dall’operatore economico. Il tutto senza dare alla parte nemmeno la possibilità di spiegare le proprie ragioni né di far valere le propri obiezioni.

In tutti questi casi, proseguono i giudici, il contraddittorio non viene rispettato.

Per la Cassazione infatti, laddove l’Ente metta in discussione il prezzo dichiarato ex art. 140 par. 1 Reg. UE 2447/2015 deve, proprio attraverso lo strumento del contraddittorio, ascoltare le obiezioni della parte. Solo dopo che il confronto con la parte vi sia stato, lo stesso si sia svolto in maniera effettiva e non formale e i dubbi non siano stati chiariti, solo allora l’Agenzia potrà disapplicare il prezzo effettivamente pagato con riferimento alle merci importate.

Brexit info

Quando sarà conclusa la procedura di uscita dall’Unione Europea, la cd. “Brexit”, il Regno Unito (UK) non sarà più considerato parte del territorio dell’Unione, ai fini doganali e fiscali (IVA e accise).
Per tale ragione, la circolazione delle merci con l’Unione Europea verrà, dunque, trattata alla stregua del commercio con un Paese terzo. Quindi, da quella data si dovrà stabilire lo status doganale delle merci che entrano, escono o transitano attraverso il territorio doganale e fiscale dell’Unione Europea e del Regno Unito.
Saranno allora da valutare le disposizioni giuridiche applicabili in relazione all‘IVA e alle accise.

Il negoziato

L’art. 50 del Trattato dell’Unione Europea prevede la possibilità del recesso di un Paese, previo accordo bilaterale che ne definisca le modalità.
Per questo motivo, la Commissione, su mandato del Consiglio Europeo, nel dicembre 2016 ha istituito un gruppo di lavoro con il compito di negoziare con la controparte britannica l’accordo di recesso.
Il 13 novembre 2018 vi è stata un’intesa tra i negoziatori sul testo dell’accordo. Bisogna sottolineare che l’accordo raggiunto riguarda solo il periodo transitorio (30 marzo 2019 – 31 dicembre 2020) e ha lo scopo di guidare la Brexit al fine di evitare effetti traumatici sull’economia della UE.
Perché possa entrare in vigore, l’accordo deve essere ratificato sia dal Parlamento britannico che da quello europeo. In seguito, deve essere approvato dal Consiglio UE a maggioranza qualificata “forte” (72% dei 27 Stati membri, ossia 20 Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione UE a 27).

No Deal

Secondo le prime stime dell’Agenzia dei Monopoli, vi sarebbe un aumento di dichiarazioni doganali del 20% in import e del 15% in export, nel caso dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE (e dall’Unione doganale) senza un accordo transitorio,  cd. Hard Brexit.

Un eventuale “deal” invece renderebbe possibile il rinvio dell’operatività della Brexit in campo doganale. Qualora l’accordo invece non fosse raggiunto, UK diverrebbe Paese terzo a tutti gli effetti a decorrere dal 30 marzo 2019.

I documenti ufficiali e una sintesi ragionata sono consultabili a questo link:
https://ec.europa.eu/commission/brexit-negotiations/negotiating-documents-article-50-negotiations-united-kingdom_en
Tutte le ulteriori informazioni sul negoziato in corso sono disponibili a questo link:
https://ec.europa.eu/commission/brexit-negotiations_en

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 31443/2018, ha dichiarato legittima la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria, qualora vi sia una sentenza passata in giudicato.

Su ricorso di Equitalia avverso la sentenza della CTR Lazio relativa ad un avviso di iscrizione ipotecaria su immobili – emesso a garanzia di somme derivanti da cartelle di pagamento non soddisfatte – la Corte di Cassazione è intervenuta con l’Ordinanza n. 31443/2018.

Il contribuente aveva sostenuto la irregolarità dell’iscrizione

che non era stata preceduta dalla notifica di una intimazione ad adempiere nonostante fosse trascorso oltre un anno dalla notifica delle cartelle cui si riferiva la garanzia. La la CTP aveva rigettato l’impugnativa e la CTR accoglieva l’appello; Equitalia faceva quindi ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte ha giudicato infondato il motivo con cui è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.e dell’art. 56 del D. Lgs. n. 546/1992 per avere la CTR ordinato la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria nonostante il contribuente non avesse reiterato in appello la relativa domanda. L’infondatezza si basa sul fatto che, ad avviso della Corte, è da escludere la novità della domanda in appello qualora la diversa pretesa sia già virtualmente compresa in quella formulata con l’atto introduttivo del giudizio.

Per quanto riguarda la censura della sentenza CTR per non avere considerato che in […]

Per leggere l’articolo completo vai su: >> https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/legittima-la-cancellazione-dellipoteca-legata-alla-cartella-esattoriale-solo-a-seguito-di-sentenza-passata-in-giudicato/

Il Comune di Frascati ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato avverso la decisione del TAR Lazio, su ricorso del MEF, di annullamento per scadenza dei termini delle delibere del Commissario Straordinario.

Le stesse avevano ad oggetto la determinazione delle aliquote TASI per l’anno 2016 e di conferma per l’anno 2017. Le delibere sono state trasmesse con l’inserimento sul portale del Federalismo fiscale del Ministero in data 17 luglio 2017, con violazione dell’art. 1, comma 28, della Legge n. 208/2015 e dell’art. 52, comma 1, del decr, legisl. n. 446/1997.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n, 121 del 2019, ha rigettato l’appello del Comune,

ritenendo infondati i motivi portati a sostegno della censura della decisione del TAR. In particolare, la giustificazione del ritardo nell’adozione della delibera n. 4 del 17/10/2016, causato dallo scioglimento del Consiglio Comunale e la non incidenza di tale ritardo sugli aumenti stabiliti con le successive delibere per gli anni 2017 e 2018.

Per il Collegio, lo scioglimento del Consiglio Comunale per le dimissioni collettive dei Consiglieri non può rappresentare un accadimento estraneo alla volontà del Consiglio stesso, tale da comportare una proroga del termine di scadenza del 30 aprile 2016, tanto più che pur essendo operante…

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https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/il-consiglio-di-stato-sui-termini-per-deliberare-la-maggiorazione-della-tasi/#https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/il-consiglio-di-stato-sui-termini-per-deliberare-la-maggiorazione-della-tasi/#

 

I volontari di Fisco e Territorio si presentano: Marcella, Avvocato in Roma

Quando sei entrata a far parte di Fisco e Territorio?
Poco prima dell’estate del 2018.

Come sei venuto a conoscenza dell’Associazione?
Me ne ha parlato il mio collega Nicola Ricciardi.

Quali motivazioni ti hanno spinto a fare questa esperienza?
Il bisogno di fare qualcosa per gli altri.

Con questa esperienza di volontariato hai imparato delle cose che non ti aspettavi e che ti hanno sorpreso?
Ho imparato che non possiamo solo lamentarci delle cose che non vanno, dobbiamo cercare di modificarle.

Qual è stata la tua soddisfazione più grande?
Credere in un progetto e provarci, senza se e senza ma.

La tua esperienza di volontariato ti ha accresciuto? Pensi potrà esserti utile in futuro nella tua vita lavorativa e non? Consiglieresti ad altri di fare la stessa esperienza?
È un’esperienza che consiglio a tutti.

Hai idee o proposte su come migliorare le attività dell’associazione o su nuovi progetti che potrebbero essere sviluppati?
Creare una collaborazione con altre persone, non solo professionisti.

 

I volontari di Fisco e Territorio si presentano: Antonello, Avvocato in Roma

Quando sei entrato a far parte di Fisco e Territorio?
Nel mese di giugno di quest’anno (2018 n.d.r.), poco dopo la nascita dell’Associazione.

Come sei venuto a conoscenza dell’Associazione?
Me ne ha parlato il fondatore, Nicola Ricciardi di cui sono amico e collega.

Quali motivazioni ti hanno spinto a fare questa esperienza?
Il bisogno di fare qualcosa per gli altri. Io sono avvocato ed ogni giorno vedo cittadini alle prese con un Fisco troppo esoso ed una giustizia troppo lenta.

Con questa esperienza di volontariato hai imparato delle cose che non ti aspettavi e che ti hanno sorpreso?
Ho conosciuto tante persone che sono in difficoltà economica e che vanno avanti nonostante tutto.

Qual è stata la tua soddisfazione più grande?
Aver aiutato un piccolo imprenditore che stava per chiudere la propria attività e che adesso continua a lavorare.

La tua esperienza di volontariato ti ha accresciuto? Pensi potrà esserti utile in futuro nella tua vita lavorativa e non? Consiglieresti ad altri di fare la stessa esperienza?
È un’esperienza che consiglio a tutti.

Hai idee o proposte su come migliorare le attività dell’associazione o su nuovi progetti che potrebbero essere sviluppati?
Creare una collaborazione con altri settori quale quello dell’Università pieno di giovani e di risorse.

Sul termine di decadenza per l’accertamento d’ufficio dell’ICI da parte del Comune, la Corte di Cassazione, ha emanato l’Ordinanza n. 28046/2018, pubblicata il 2 novembre 2018.

I giudici hanno confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, con riguardo alla fattispecie di omessa dichiarazione, il termine per la notifica dell’atto è quello del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione doveva essere presentata.

Quindi, con riferimento all’anno di imposta 2006, poiché l’obbligo della dichiarazione scadeva il 31 luglio 2007, il termine è quello del 31 dicembre 2012.

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