La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4384 del 14 febbraio 2019, ha stabilito che, se i certificati di origine preferenziale sono falsi, è legittima la ripresa a tassazione solo dei maggiori dazi ma non dell’IVA all’importazione Vediamo come i Supremi Giudici sono arrivati a stabilire che la falsità dei certificati EUR 1 comporta “la perdita dell’esenzione daziaria” ma “non implica necessariamente anche quella dell’IVA all’importazione qualora tale imposta sia stata comunque assolta secondo il modulo dell’inversione contabile all’atto dell’estrazione delle merci dal deposito IVA”. L’applicazione del meccanismo del reverse charge comporta di per sé l’assolvimento dell’imposta e, per tale ragione, costituisce un mero illecito fiscale di natura formale la mancata introduzione fisica dei beni nel deposito. Per i giudici quindi, non è possibile il recupero dell’imposta non versata nello sdoganamento. Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 13 del D. Lgs. 471/1997 (ritardati o omessi versamenti diretti), la sanzione è compresa tra il 15% e il 30% dell’IVA all’importazione se la regolarizzazione avviene entro 15 giorni dall’annotazione dell’autofattura nei registri contabili. Per la Cassazione quindi, non vi è tassazione anche dell’IVA – pagata con il reverse charge – perché questo costituirebbe doppia imposizione. La fattispecie sottoposta all’esame dei Giudici è quella di una verifica fiscale operata dall’Agenzia delle Dogane che riteneva irregolari delle prove EUR 1 relative a merce da immettere fisicamente in un deposito IVA, su cui però andava poi applicato il reverse charge. Per l’Agenzia fiscale andava ripresa a tassazione l’IVA all’importazione perché assimilata ai diritti di confine a causa del disconoscimento dei certificati di circolazione, necessari per il godimento delle agevolazione daziarie. I giudici hanno invece ritenuto di separare le violazioni doganali, quelle relativi ai dazi e agli altri diritti di confine, dall’applicazione dell’IVA all’importazione, che risulta già pagata proprio per l’applicazione del reverse charge sull’estrazione dei beni dal deposito. Sempre la Cassazione, con la sentenza n. 4052 del 12 febbraio 2019, aveva stabilito che “nel caso in cui le merci provenienti da paesi al di fuori dell’unione europea siano state immesse in libera pratica con il pagamento in dogana dei soli dazi per essere destinate all’introduzione in un deposito fiscale, introduzione poi mai avvenuta, e sempre che l’IVA sia stata in concreto assolta con il meccanismo dell’inversione contabile previsto dall’art. 17 comma 2 DPR n. 633/1972, l’agenzia doganale non può procedere all’emissione di un atto impositivo per il recupero dell’IVA non versata in dogana”.
https://www.2020revisione.it/nessuna-violazione-doganale-per-i-depositi-iva/
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Allegato: Circolare n. 8 del 22 maggio 2020
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