In questo momento di grande difficoltà che stiamo vivendo, a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al Corona virus, abbiamo realizzato questo video,  che racchiude le opere di due grandi artisti, Filippo Riniolo e Giuseppe Stampone. L’intento è quello di offrire uno spunto per provare a uscire da questa situazione, attraverso l’arte e la cultura, che possono costituire una cura per tanti mali di questa società. Questo video tocca la coscienza di ognuno di noi, come singoli e soprattutto come parte di una collettività. Dobbiamo essere uniti e ricordare che, da questa situazione, o si esce insieme o non se ne esce.

Il Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50/2016) prevede le norme applicabili agli acquisti, alle forniture e ai servizi da parte delle pubbliche amministrazioni. Con apposito atto del 22 aprile 2020, in considerazione dell’emergenza Coronavirus, l’ANAC prova a rendere più veloci lo svolgimento di queste procedure. L’Autorità prevede la riduzione dei termini di cui all’art. 60, c. 3 e art. 61, c. 6 del d.lgs 50/2016; ancora, il ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando, che consente di negoziare direttamente con i contraenti termini e numero minimo di candidati. Il tutto nel rispetto della previsione di cui all’art. 63, c. 2, lettera c) del d.lgs.50/2016. Inoltre, è prevista la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto, se l’operatore risulti essere l’unico in grado di consegnare le forniture necessarie nel rispetto dei vincoli di legge,  secondo l’art. 63, c. 2, lettera b) e c. 6, del d.lgs. 50/2016.

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Partiamo dai termini: il termine di legge per proporre ricorso è di 30 giorni. Al momento, i tempi della giustizia sono sospesi per la pandemia, e quindi il termine di 30 giorni partirà, salvo proroghe, dall’11 maggio. E’ da quel giorno che verranno conteggiati il 30 giorni previsti dalla legge.

Bisogna poi chiarire che chi ha commesso l’infrazione non risponderà anche dal punto di vista penale; le violazioni infatti sono state depenalizzate. Se commesse fino al 25 marzo è stata prevista una multa di 200 euro, mentre per le infrazioni commesse dal 26 marzo in poi, la sanzione amministrativa prevista varia da 400 a 3 mila euro, con lo sconto del 30% se si paga nei 30 giorni.

Chi invece pensa di avere ragione, può proporre ricorso contro gli atti del Comune, dei Vigili urbani, della Provincia, della Polizia provinciale, della Prefettura, dei Carabinieri, della Polizia di Stato o della Guardia di finanza. Successivamente, il ricorso può essere proposto innanzi al Giudice di Pace ma bisogna però dire che se il ricorso viene respinto, la multa raddoppia. Ci vuole quindi una certa competenza per proporre ricorso, proprio per evitare che la multa anziché essere annullata possa addirittura raddoppiare. Inoltre, per chi non paga, è prevista la notifica di un’ingiunzione di pagamento e quindi di una cartella esattoriale. Per tale ragione, è sempre meglio rivolgersi a un avvocato, anche solo per farsi dire se vi siano o meno i presupposti per il ricorso.

Vi è poi da dire che, a oggi, vi sono solo quattro motivi che giustificano lo spostamento: lavoro, urgenza, necessità e salute. Ma questi motivi, per come definiti, sono molto generici e quindi soggetti a una interpretazione dei singoli operatori di polizia. Le norme infatti sono ampie e spesso contraddittorie, ragione per cui i motivi per annullare le multe aumentano.

In questi giorni di vera emergenza che sta vivendo l’Italia, a causa del Coronavirus, diventato ormai una vera e propria pandemia, tutti si preoccupano del problema dal punto di vista sanitario.

E lo fanno giustamente, visto che il virus può colpire tutti, senza risparmiare nessuno, anche i più giovani, quelli che fino a poco tempo fa si ritenevano immuni. Le conseguenze di questo disastro però sono non solo sanitarie ma anche economiche perché, con i provvedimenti decisi dal Governo italiano, che ha bloccato ogni attività economica, tranne quelle ritenute essenziali, vi sarà inevitabilmente una riduzione dei consumi, un calo degli ordini, un calo delle commesse, una generalizzata riduzione di fatturato per tutti. Per non parlare di fenomeni speculativi che, soprattutto in momenti come questo, contribuiscono a falsare i mercati, nuocendo alle aziende che invece si comportano correttamente.

Il Governo ha, più volte, detto che andrà incontro a cittadini e imprese per aiutare la ripresa delle domanda e la crescita dei consumi, utilizzando a questo fine tutti gli strumenti che ha disposizione, a cominciare da quelli fiscali. Quindi esenzioni, agevolazioni, riduzioni, sospensione dei pagamenti e della riscossione, tutti quei provvedimenti insomma che, almeno in teoria, dovrebbero consentire una ripresa dell’economia.

Ora sappiamo bene che, molto spesso, “passato il santo, passata la festa”. Passata quindi l’emergenza (e tutti ci auguriamo che passi al più presto), passano anche le buone intenzioni, perché più volte in questi anni, l’Agenzia delle Entrate ha dimostrato di avere la memoria corta. Con la conseguenza che le tante promesse e la miriade di buone intenzioni, hanno dovuto lasciare il passo alla realtà dei fatti. Potrebbe quindi accadere, come è successo purtroppo in occasione di altre tragedie del nostro Paese, che ci troveremo a fare i conti con un’economia che stenta a riprendersi e una tassazione che torna subito alle stelle. Inoltre, potrebbe succedere che molte delle agevolazioni fiscali che vengono sbandierate in questi giorni non vengano confermate o vengano revocate. Si pensi al terremoto de L’Aquila dove ancora adesso le imprese locali hanno un lungo contenzioso col Fisco per la restituzione degli incentivi ricevuti proprio in occasione di quei tragici eventi. La conseguenza di tutto questo è che le imprese dovranno restituire al Fisco parte delle imposte che si pensava non fossero dovute. Con il rischio di diventare un domani «reduci dal virus e vittime dello Stato».

Certo, sarebbe una palese ingiustizia, ma la possibilità potrebbe essere più reale di quello che sembra. Potrebbe infatti accadere che lo Stato non voglia indietro i soldi di tutte le aziende che hanno ricevuto delle agevolazioni, ma solo di quelle che le hanno ottenute senza averne diritto.

Potrebbero infatti chiedere di beneficiare delle agevolazioni fiscali molte aziende che in realtà non sono state colpite dall’emergenza coronavirus o lo sono state solo in minima parte.

E’ ancora presto per fare dei numeri per comprendere la dimensione del problema, ma il rischio potenziale riguarda  aziende sparse su tutto il territorio nazionale col pericolo che quelle realtà, che non hanno adeguate risorse, falliranno e si perderanno migliaia di posti di lavoro.

A questo proposito, per cercare di farci trovare preparati, ricordiamo che grava sul contribuente, su cui l’Agenzia delle Entrate sta compiendo un accertamento, l’onere di dimostrare la sua innocenza. Anche quando, ha spiegato la Corte di Cassazione con la sentenza 15147/2019, i documenti di prova sono in possesso di un’altra Pubblica Amministrazione.
Ricordiamo poi che la normativa tributaria in tema di ravvedimento è materia in continua evoluzione. L’istituto del ravvedimento è quella possibilità offerta dall’ordinamento di regolarizzare spontaneamente i versamenti di imposte omessi o insufficienti e altre irregolarità fiscali, beneficiando di una riduzione delle sanzioni.

Le irregolarità relative alle detrazioni d’imposta sono normalmente rilevate dall’Agenzia delle Entrate attraverso i cosiddetti “controlli formali” (art. 36 ter del Dpr n. 600/1973). Il controllo formale consiste nella verifica della corrispondenza della dichiarazione presentata con la documentazione in possesso dal contribuente.

Vi sono poi dei controlli incrociati, tra i dati in possesso dell’Agenzia delle Entrate e quelli in possesso del contribuente. Qualora questi differiscano, l’Agenzia delle Entrate invierà all’impresa una comunicazione d’irregolarità con l’indicazione dell’imposta dovuta e della relativa sanzione.

Quello che raccomandiamo quindi, in questo momento, è di prestare massima attenzione alle notizie che vengono diffuse, anche se la materia fiscale è molto tecnica e spesso di difficile comprensione, perché queste notizie ci potranno essere molto utili domani. Perché, parafrasando il nostro Presidente del Consiglio che ha detto “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani”, noi dal Fisco vorremmo rimanere distanti non solo oggi ma anche domani, perché gli abbracci, l’Agenzia delle Entrate, speriamo li riservi a qualcun altro!

L’articolo prende spunto dalla recentissima sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la n. 601 del 17 gennaio 2020, secondo cui è nulla la notifica via pec della cartella se  l’indirizzo da cui viene fatta non è tra quelli presenti nei pubblici registri.

Per saperne di più, vai su:

Equitalia, Ricciardi (Fisco e Territorio): “Nulle le cartelle notificate via Pec”

Alfredo Pirri.
La macchia del tempo

Nelle ipotesi di separazione o divorzio dei coniugi, la regola generale da tenere in considerazione è quella del consenso dei diretti interessati. Sono quindi i coniugi a decidere, sempre all’interno dei limiti imposti dalla legge. Esaminiamo allora alcuni dei casi più frequenti nella pratica. In caso di vendita della prima casa entro i 5 anni dall’acquisto, non si decadrà più dall’agevolazione fiscale anche se il coniuge venditore non acquisti entro un anno un’altra abitazione con gli stessi requisiti. Condizione necessaria perché questo avvenga, sarà che la vendita sia il risultato di un accordo raggiunto tra i coniugi in sede di separazione. La norma vale sia tra gli stessi coniugi che nei confronti dei terzi.

Quindi, in caso di vendita “anticipata” della casa coniugale, nelle ipotesi di separazione, non si perderanno i benefici prima casa, sempre che questo sia previsto nell’accordo di separazione omologato dal giudice (lo ha stabilito ultimamente l‘Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 80/E del 09/09/2019). Si ricorda poi che l’atto con il quale viene trasferito all’ex coniuge un immobile, in esecuzione di un accordo di separazione consensuale, è esente da imposte. Per stabilire invece chi dovrà pagare l’IMU, bisognerà guardare alla presenza di figli minori. Se non vi sono, si dovrà fare riferimento al diritto sul bene immobile (lo prevede il comma 743 della legge 160/2019). Nel caso dell’IMU infatti sono esentate dal pagamento le ipotesi di abitazione principale. Ma che cosa succede nelle ipotesi di coniugi separati e divorziati cui viene assegnata la casa familiare in presenza di affidamento dei figli? In questo caso, il genitore assegnatario diviene titolare di un diritto di abitazione sullo stesso immobile. Da questo deriva che, quando ci sono figli minori, il genitore assegnatario non sarà tenuto al pagamento dell’IMU. Se invece i minori non vi sono, varranno le regole ordinarie. Quindi, se l’immobile appartiene al coniuge, che però non è assegnatario dello stesso, la casa farà capo solo a questi che dovrà regolarmente pagare l’imposta. Se invece il bene appartiene a entrambi i coniugi, si dovrà guardare alle singole quote di possesso. Quindi, quella parte di casa che fa capo al coniuge non assegnatario pagherà l’imposta, mentre quella parte di casa che fa capo al coniuge che la utilizza non dovrà pagare l’imposta, in quanto abitazione principale. Per concludere, se una coppia senza figli decide di separarsi, l’IMU la paga il proprietario. Se invece ci sono figli minori sarà l’assegnatario della casa coniugale che dovrà provvedere al pagamento dell’imposta.

 

 

Ricciardi (Fisco e Territorio): “Coniugi separati e imposte sulla casa”

Nelle ipotesi di separazione o divorzio dei coniugi con conseguente assegnazione delle casa familiare, ai fini del pagamento dell’imposta da parte dell’assegnatario dell’abitazione, si guarderà alla presenza di figli minori. Nelle altre ipotesi, ciò che rileverà, ai fini del pagamento dell’imposta, sarà il diritto sul bene immobile (lo prevede il comma 743 della legge 160/2019). La nuova disciplina dell‘Imposta Municipale Unica, che continua a non considerare dovuto il pagamento nelle ipotesi di abitazione principale, contempla anche le ipotesi di coniugi separati e divorziati cui viene assegnata la casa familiare in presenza di affidamento dei figli. In questo caso, il genitore assegnatario diviene titolare di un diritto di abitazione sullo stesso immobile. Da ciò consegue che, in presenza di figli minori, il genitore assegnatario nulla dovrà pagare in termini di imposta. Qualora invece i figli minori non vi siano, l’imposizione (e la correlativa esenzione) seguirà i principi ordinari. Quindi, se l’immobile appartiene al coniuge, che però non è assegnatario dello stesso, la casa farà capo solo a questi e non vi sarà alcun diritto all’esenzione, dovendosi pagare l’imposta in misura piena. Infine, nelle ipotesi in cui il bene appartenga a entrambi i coniugi, ciò che rileverà saranno le singole quote di possesso. Pertanto, quella parte di casa che fa capo al coniuge non assegnatario pagherà l’imposta, mentre la parte di casa che fa capo al coniuge che la utilizza, sempre che vi abbia la residenza anagrafica e la dimora abituale, sarà considerata esente da imposizione, quale abitazione principale.

Con autonomo avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2011, il Comune di Pomezia (RM) contestava al contribuente l’omesso versamento dell’ICI relativa a un’area edificabile. Avverso tale atto, la parte proponeva impugnazione. Il ricorso veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma e, successivamente, dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Giungeva quindi innanzi alla Corte di Cassazione, cui il contribuente si rivolgeva per la riforma della sentenza. Le doglianze avanzate in sede di legittimità erano relative all’omessa considerazione, da parte dei giudici di appello, dell’effettiva potenzialità edificatoria del terreno. Ancora, si lamentava l’omessa considerazione dell’interesse pubblico del bene e la mancata considerazione dell’inserimento del terreno nel piano paesaggistico inderogabile, con conseguente impossibilità di edificare. La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33012 del 14 dicembre 2019, ha dapprima affermato il necessario rispetto di quanto statuito dalle SS.UU. con la sentenza n. 25506/2006 secondo cui l’edificabilità dell’area ai fini ICI discende dalla sua inclusione nel Piano Regolatore Generale. Di poi, i giudici di legittimità hanno stabilito che bisogna tenere conto di quanto stabilito negli atti di pianificazione territoriale. […]

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https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/le-previsioni-del-piano-paesaggistico-regionale-prevalgono-su-quelle-del-piano-urbanistico-comunale-ai-fini-della-edificabilita-dellarea/

Più volte, ben quattro solo nel mese di ottobre di quest’anno, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema della revisione del classamento degli immobili effettuata dall’Agenzia delle Entrate (già Agenzia del Territorio). Come noto, la procedura è quella di cui all’articolo 1, comma 335, della Legge n. 311/2004 e, su questa, hanno sentenziato i Giudici di legittimità. Gli Ermellini hanno deciso su quattro ricorsi proposti dall’Agenzia delle Entrate avverso altrettante sentenze della Commissione Tributaria Regionale della Puglia. Il caso sottoposto alla loro attenzione riguardava gli estimi attribuiti ad alcuni immobili siti nel Comune di Lecce, oggetto di avvisi di accertamento che avevano formato materia di ricorso in primo grado. Da una parte, l’Amministrazione Finanziaria ha impugnato le sentenze dei giudici regionali  perchè non avevano disposto la sospensione del processo, causa la pendenza di altro processo dinanzi al Consiglio di Stato con oggetto il classamento di alcune microzone del Comune di Lecce. Con le Ordinanze nn. 25008, 27349, 27363 e 27379, tutte del mese di ottobre 2019, il motivo è stato dichiarato non fondato dalla Corte. Con riferimento poi all’eccepita violazione dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente, il Supremo Collegio, ha detto […]

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https://www.finanzaterritoriale.it/index.php/il-riclassamento-catastale-degli-immobili-nella-piu-recente-giurisprudenza-di-legittimita/

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