In questi tempi di emergenza dovuta al Coronavirus, il Governo ha previsto decise sanzioni per chi non rispetta il divieto di circolazione e quindi esce di casa fuori delle ipotesi previste dalla legge. Le tipologie di violazione sono ancora in via di definizione, così come le relative sanzioni. Per certo, il sistema sanzionatorio sarà differente a seconda del tipo di violazione commessa.
Il linea generale, alla violazione segue l’obbligo di pagamento di una somma di denaro, con la previsione di un importo minimo e di un importo massimo, da versare entro un termine prestabilito dalla legge. (altro…)

Il Governo sostiene che, per far ripartire l’economia,  andrà incontro ai cittadini, utilizzando lo strumento fiscale. Esenzioni d’imposta, agevolazioni, sospensione dei versamenti.  Tutti strumenti che dovrebbero aiutare le imprese, ma sarà davvero così?

Ne parliamo su Sassilive

Ricciardi (Fisco e territorio): “Il Coronavirus e le tasse da restituire”

In questi giorni di vera emergenza che sta vivendo l’Italia, a causa del Coronavirus, diventato ormai una vera e propria pandemia, tutti si preoccupano del problema dal punto di vista sanitario.

E lo fanno giustamente, visto che il virus può colpire tutti, senza risparmiare nessuno, anche i più giovani, quelli che fino a poco tempo fa si ritenevano immuni. Le conseguenze di questo disastro però sono non solo sanitarie ma anche economiche perché, con i provvedimenti decisi dal Governo italiano, che ha bloccato ogni attività economica, tranne quelle ritenute essenziali, vi sarà inevitabilmente una riduzione dei consumi, un calo degli ordini, un calo delle commesse, una generalizzata riduzione di fatturato per tutti. Per non parlare di fenomeni speculativi che, soprattutto in momenti come questo, contribuiscono a falsare i mercati, nuocendo alle aziende che invece si comportano correttamente.

Il Governo ha, più volte, detto che andrà incontro a cittadini e imprese per aiutare la ripresa delle domanda e la crescita dei consumi, utilizzando a questo fine tutti gli strumenti che ha disposizione, a cominciare da quelli fiscali. Quindi esenzioni, agevolazioni, riduzioni, sospensione dei pagamenti e della riscossione, tutti quei provvedimenti insomma che, almeno in teoria, dovrebbero consentire una ripresa dell’economia.

Ora sappiamo bene che, molto spesso, “passato il santo, passata la festa”. Passata quindi l’emergenza (e tutti ci auguriamo che passi al più presto), passano anche le buone intenzioni, perché più volte in questi anni, l’Agenzia delle Entrate ha dimostrato di avere la memoria corta. Con la conseguenza che le tante promesse e la miriade di buone intenzioni, hanno dovuto lasciare il passo alla realtà dei fatti. Potrebbe quindi accadere, come è successo purtroppo in occasione di altre tragedie del nostro Paese, che ci troveremo a fare i conti con un’economia che stenta a riprendersi e una tassazione che torna subito alle stelle. Inoltre, potrebbe succedere che molte delle agevolazioni fiscali che vengono sbandierate in questi giorni non vengano confermate o vengano revocate. Si pensi al terremoto de L’Aquila dove ancora adesso le imprese locali hanno un lungo contenzioso col Fisco per la restituzione degli incentivi ricevuti proprio in occasione di quei tragici eventi. La conseguenza di tutto questo è che le imprese dovranno restituire al Fisco parte delle imposte che si pensava non fossero dovute. Con il rischio di diventare un domani «reduci dal virus e vittime dello Stato».

Certo, sarebbe una palese ingiustizia, ma la possibilità potrebbe essere più reale di quello che sembra. Potrebbe infatti accadere che lo Stato non voglia indietro i soldi di tutte le aziende che hanno ricevuto delle agevolazioni, ma solo di quelle che le hanno ottenute senza averne diritto.

Potrebbero infatti chiedere di beneficiare delle agevolazioni fiscali molte aziende che in realtà non sono state colpite dall’emergenza coronavirus o lo sono state solo in minima parte.

E’ ancora presto per fare dei numeri per comprendere la dimensione del problema, ma il rischio potenziale riguarda  aziende sparse su tutto il territorio nazionale col pericolo che quelle realtà, che non hanno adeguate risorse, falliranno e si perderanno migliaia di posti di lavoro.

A questo proposito, per cercare di farci trovare preparati, ricordiamo che grava sul contribuente, su cui l’Agenzia delle Entrate sta compiendo un accertamento, l’onere di dimostrare la sua innocenza. Anche quando, ha spiegato la Corte di Cassazione con la sentenza 15147/2019, i documenti di prova sono in possesso di un’altra Pubblica Amministrazione.
Ricordiamo poi che la normativa tributaria in tema di ravvedimento è materia in continua evoluzione. L’istituto del ravvedimento è quella possibilità offerta dall’ordinamento di regolarizzare spontaneamente i versamenti di imposte omessi o insufficienti e altre irregolarità fiscali, beneficiando di una riduzione delle sanzioni.

Le irregolarità relative alle detrazioni d’imposta sono normalmente rilevate dall’Agenzia delle Entrate attraverso i cosiddetti “controlli formali” (art. 36 ter del Dpr n. 600/1973). Il controllo formale consiste nella verifica della corrispondenza della dichiarazione presentata con la documentazione in possesso dal contribuente.

Vi sono poi dei controlli incrociati, tra i dati in possesso dell’Agenzia delle Entrate e quelli in possesso del contribuente. Qualora questi differiscano, l’Agenzia delle Entrate invierà all’impresa una comunicazione d’irregolarità con l’indicazione dell’imposta dovuta e della relativa sanzione.

Quello che raccomandiamo quindi, in questo momento, è di prestare massima attenzione alle notizie che vengono diffuse, anche se la materia fiscale è molto tecnica e spesso di difficile comprensione, perché queste notizie ci potranno essere molto utili domani. Perché, parafrasando il nostro Presidente del Consiglio che ha detto “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani”, noi dal Fisco vorremmo rimanere distanti non solo oggi ma anche domani, perché gli abbracci, l’Agenzia delle Entrate, speriamo li riservi a qualcun altro!

Manca la firma digitale? La notifica via pec è nulla? Ne parliamo su:

La Gazzetta del Mezzogiorno https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/

L’articolo prende spunto dalla recentissima sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la n. 601 del 17 gennaio 2020, secondo cui è nulla la notifica via pec della cartella se  l’indirizzo da cui viene fatta non è tra quelli presenti nei pubblici registri.

Per saperne di più, vai su:

Equitalia, Ricciardi (Fisco e Territorio): “Nulle le cartelle notificate via Pec”

Cartelle di pagamento notificate dall’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) dichiarate nulle alla luce della recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 27374 della Sez. VI Civile del 24/10/2019.

Per saperne di più, vai su:

https://www.tuttoh24.info/equitalia-nulle-le-cartelle-notificate-via-pec/

Interessante chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, fornito nell’Interpello n. 4 del 13 gennaio 2020, in tema di recupero dell’IVA assolta in Dogana. Il caso sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione Finanziaria riguarda merce ceduta da un soggetto svizzero a una impresa italiana. Per l’operazione veniva utilizzato uno spedizioniere italiano che però aveva provveduto ad addebitare l’IVA all’impresa svizzera. Ebbene, la questione è stata risolta, attenendosi al dato letterale di cui all’art. 19 del DPR 633/1972, dal quale gli Uffici finanziari sono partiti per affermare la detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto pagata sui beni oggetto di importazione. Titolare del diritto alla suddetta detrazione è, per il Fisco, colui che ha importato il bene, cioè colui il cui nominativo risulta dalla fattura di acquisto. Costui dovrà quindi provvedere alla registrazione della bolletta doganale nel registro degli acquisti. Per converso, non sarà invece detraibile l’imposta per l’operatore svizzero, imposta che gli era stata addebitata dallo spedizioniere. Le uniche modalità che a questi sono concesse per il recupero dell’IVA infatti saranno quelle dell’azione civilistica di ripetizione. Del resto, quanto detto dall’Agenzia delle Entrate trova supporto anche nella più recente giurisprudenza dei legittimità. La Corte di Cassazione infatti, nella sentenza n. 2570 del 21 gennaio 2019, ha affermato che l’obbligo di pagamento dell’imposta evasa grava su “colui in nome o per conto del quale sia stata effettuata l’operazione di importazione, e non solo colui che abbia materialmente presentato la merce in Dogana, rendendo la relativa dichiarazione“.

  • Le opere d’arte che cadono in successione ereditaria, in quanto tali, sono tassate
  • Secondo la legge italiana, le opere d’arte concorrono a formare l’asse ereditario; il loro valore cioè si aggiunge a quello degli altri beni che cadono in successione
  • L’art. 9 comma 3 del D. Lgs. 346/1990 prevede che si considerano “mobilia l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle abitazioni”
  • Le opere d’arte quindi rientrano nella categoria dei mobilia, a condizione però che siano custodite nelle abitazioni private
  • Il luogo di custoda delle opere, ai fini tributari, ha grande rilevanza perché l’agevolazione pervista per le opere d’arte detenute nelle abitazioni, non opera per le opere d’arte detenute in altri luoghi, quali le cassette di sicurezza
  • Mentre nel primo caso, le opere detenute nelle abitazioni rilevano, ai fini tributari, per un importo pari al 10% del valore globale anche se non dichiarate, nel secondo l’imposta di successione si applicherà con aliquote ordinarie sui valori di mercato delle stesse opere d’arte

Va da sè che la differenza è notevole e impone una riflessione accurata.

Nelle ipotesi di separazione o divorzio dei coniugi con conseguente assegnazione delle casa familiare, ai fini del pagamento dell’imposta da parte dell’assegnatario dell’abitazione, si guarderà alla presenza di figli minori. Nelle altre ipotesi, ciò che rileverà, ai fini del pagamento dell’imposta, sarà il diritto sul bene immobile (lo prevede il comma 743 della legge 160/2019). La nuova disciplina dell‘Imposta Municipale Unica, che continua a non considerare dovuto il pagamento nelle ipotesi di abitazione principale, contempla anche le ipotesi di coniugi separati e divorziati cui viene assegnata la casa familiare in presenza di affidamento dei figli. In questo caso, il genitore assegnatario diviene titolare di un diritto di abitazione sullo stesso immobile. Da ciò consegue che, in presenza di figli minori, il genitore assegnatario nulla dovrà pagare in termini di imposta. Qualora invece i figli minori non vi siano, l’imposizione (e la correlativa esenzione) seguirà i principi ordinari. Quindi, se l’immobile appartiene al coniuge, che però non è assegnatario dello stesso, la casa farà capo solo a questi e non vi sarà alcun diritto all’esenzione, dovendosi pagare l’imposta in misura piena. Infine, nelle ipotesi in cui il bene appartenga a entrambi i coniugi, ciò che rileverà saranno le singole quote di possesso. Pertanto, quella parte di casa che fa capo al coniuge non assegnatario pagherà l’imposta, mentre la parte di casa che fa capo al coniuge che la utilizza, sempre che vi abbia la residenza anagrafica e la dimora abituale, sarà considerata esente da imposizione, quale abitazione principale.

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